martedì 31 agosto 2010

Una Megattera che balla al Twiga

È comparsa all’improvviso a largo della costa di Marina di Pietrasanta. Ha danzato davanti a decine di bagnanti increduli. Ha saltato roteando su se stessa e ripiombando in acqua con soffi e spruzzi. Una megattera di circa 12 metri, forse la stessa già avvistata nel Golfo di Trieste circa otto mesi fa, ha lasciato a bocca aperta la Versilia. I primi turisti che l’hanno avvistata, intorno alle 17 di venerdì scorso, a circa un miglio di fronte al bagno Twiga, hanno pensato a un’orca. La pancia bianca. E poi quelle evoluzioni. Qualcosa di grosso lo era di sicuro.
La Capitaneria di Porto di Viareggio è arrivata sul posto poco dopo e ha scattato le foto seguenti.



mercoledì 25 agosto 2010

Un delfino particolare

Un'industria di imbarcazioni ha lanciato sul mercato una sorta di delfino tecnologico capace di "nuotare" a cinquanta miglia all'ora in superficie e venticinque sott'acqua.
Anche l'uomo può provare l'ebbrezza dei salti tipici del cetaceo o di una nuotata nelle profondità dell'oceano, solo e al riparo in un abitacolo ben isolato.


mercoledì 4 agosto 2010

Fine della Marea Nera

Finalmente la British Petrolium annuncia: "Abbiamo tappato il pozzo".

Ebbene si, sembrerebbe che la BP sia riuscita, dopo Nmila tentativi, a tappare il pozzo. L’operazione «static kill», finalizzata a ’tappare’ il pozzo di petrolio che ha originato la marea nera nel Golfo del Messico, ha raggiunto «l’obiettivo perseguito».
La falla petrolifera che ha causato il disastro ambientale nel nel Golfo del Messico è stata quindi tappata con l'ineizione di cemento e fango che doveva spingere il petrolio nel bacino sottostante, un deposito situato 4mila metri sotto la superficie marina.
Un'operazione che non era mai avvenuta a tali profondità.

In un precedente post ve ne avevo parlato, ma se volete vedere con i vostri occhi tutte le telecamenre sottomarine, cliccate qui

PS: dopo tutto il casino che è successo, dopo tutte le critiche per il NON intervento, l'AD Tony Hayward lascierà l'incarico ad Ottobre. Al suo posto l'americano Bob Dudley.

martedì 3 agosto 2010

230 mila sono le specie che vivono nel Mare

Quanti pesci ci sono nel mare?
A questa e ad altre domande sul mare e sulla sua vita cerca di dare una risposta il Census of Marine Life (Coml), un censimento durato dieci anni che ha riguardato 25 aree marine diverse sparse per il mondo, dall'Antartide alle acque temperate dei Tropici, passando per il Mediterraneo fino ad arrivare all'Australia.
I ricercatori di tutto il mondo sono arrivati alla conclusione che sono 230mila le diverse specie distribuite nelle 25 aree studiate, di cui solo un decimo sono state catalogate. I risultati definitivi della ricerca verranno presentati il 4 ottobre in una grande conferenza a Londra, ma intanto il Coml ha reso noti i primi dati emersi da questo ingente lavoro. Le aree più ricche di biodiversità sono risultate essere il Giappone e l'Australia, entrambe con circa 33mila specie, seguite dalla Cina (22mila) e dal Mediterraneo, in cui fra crostacei, pesci e alghe vivono 17mila specie animali. Al quinto posto, tra le 25 aree censite, c'è il golfo del Messico, martoriato dalla marea nera, in cui vivono 15mila specie.
I crostacei sono il gruppo con la maggiore popolazione: granchi, aragoste, gamberi, ma anche molti altri meno conosciuti, rappresentano praticamente un quinto dell'intera fauna sottomarina (il 19%). A seguire si trovano i molluschi (17 %) e i pesci (12 %). Alle alghe, alle piante e agli organismi unicellulari spetta rispettivamente il dieci per cento.
Il nostro mare mediterraneo contiene 17 mila specie, ma è considerato il più minacciato dall'inquinamento, dall'eccessivo prelievo ittico e persino dalle bombe sganciate nell'Adriatico ai tempi della guerra del Kosovo. A queste si è aggiunto un nuovo pericolo: le specie invasive che tendono a rimpiazzare quelle autoctone. Infatti nelle acque del bacino del Mediterraneo è possibile reperire 600 specie “aliene”, la maggior parte delle quali proveniente dal Mar Rosso attraverso il Canale di Suez.

Tutto l'articolo, qui

lunedì 2 agosto 2010

Atlantide? Era la Sardegna!

Curiosando su Facebook, ho visto che un mio amico sul suo blog aveva pubblicato una notizia analoga a quella che vi sto per raccontare, ovvero Atlandide=Sardegna. La cosa mi ha incuriosito e non poco a dire il vero; allora sono andato su google per approfondire il tema, di cui ammetto che non ne sapevo nulla, e ho trovato una miriade di articoli. Cerco di illustrare la teoria.

Sono secoli che studiosi, filosofi, scienziati e letterati tentano inutilmente di ricollocare il mitico continente di Atlantide nella geografia interpretando ora Platone ora tutte le leggende mediterranee e sono secoli che ogni tentativo viene frustrato da mancanza di prove concrete.
Sembra che oggi si sia sul punto di arrivare a uno stravolgimento delle convinzioni tradizionali e che una nuova luce possa essere gettata sulla madre di tutti i miti e sulla nostra stessa genesi come popolo italico.
Di volta in volta l'isola di Santorini, le isole britanniche, le Azzorre e le Canarie (e recentemente anche l'arcipelago nipponico o le coste turche) sono stati i luoghi maggiormente indiziati come gli ultimi retaggi del continente perduto narrato da Platone nel Crizia e nel Timeo.

"Protetta da mura circolari di metallo e dotata di grande disponibilità di beni naturali, beneficiata da raccolti tre volte all'anno e da minerali preziosi del sottosuolo, Atlantide era una terra promessa situata al di là delle Colonne d'Ercole".

Già, ma dov'erano quelle mitiche colonne 2000 anni fa? Oggi tutti le collocano a Gibilterra, ma le analisi dei testi precedenti la nuova geografia di Eratostene dimostrano che c'era molta confusione su dove piazzare i limiti del mondo quando la geografia non la facevano ancora i greci, ma i fenici e i cartaginesi, eredi di quegli antichi popoli del mare di cui si erano perdute le tracce dopo un avvenimento catastrofico.

La geologia dei fondali del Mediterraneo a questo proposito parla tanto chiaro che anche un non geologo, ma giornalista e archeologo come Sergio Frau (commentatore di Repubblica e novello scrittore di Le colonne d'Ercole) ha potuto notare che c'è una sola zona che poteva fungere da confine del mondo conosciuto prima che i commerci si spingessero più a Occidente, la sola che possedesse quei fondali insidiosi, e soprattutto limacciosi e costellati di secche, che gli antichi indicavano come Colonne d'Ercole, ovvero il Canale di Sicilia.


Lo stretto di Gibilterra ha fondali profondi più di 300 metri e non c'è mai stato fango laggiù, come potevano sbagliarsi i tanti che avevano chiaramente descritto il canale di mare fra Sicilia e Tunisia?
E se le Colonne d'Ercole erano davvero a largo della Sicilia quando Platone scriveva, perché Atlantide avrebbe dovuto essere alle Canarie o, tantomeno, a Santorini? I geologi avevano già escluso da tempo l'isola cicladica per via delle prove paleomagnetiche: i manufatti in terracotta dell'antica Thira (Akrothiri) si comportano come argille naturali in cui i granuli magnetici normalmente presenti si riorientano parallelamente al campo magnetico terrestre se riscaldati al di sopra di una certa temperatura (come quella dei forni in cui venivano cotti o di incendi). Confrontando quei dati con quelli provenienti dell'eruzione spaventosa di Santorini (XVI secolo prima di Cristo) si è escluso che la distruzione della civiltà minoica potesse essere contemporanea ai maremoti conseguenti a quella catastrofe, dunque, che Atlantide potesse coincidere con la Creta dei palazzi di Cnosso.Ma al di là di quelle Colonne ora ricollocate c'è un'isola che ha un clima straordinario (capace di dare più raccolti in un anno), che è ricchissima di metalli e che è stata abitata per lungo tempo da un popolo che costruiva torri (i nuraghes dei Tirreni) e che forse è fortemente imparentato con gli Etruschi e con i Fenici e i Cartaginesi.
Un'isola che poteva costituire un forziere naturale molto più vicino della lontana Spagna cui, chissà perché, dovevano preferire arrivare i naviganti del Libano e della Libya. Un'isola da tenere tanto segreta da farla quasi sparire dalle rotte, una specie di riserva naturale da oscurare nella notte del mito, un'idea di terra promessa che avrebbe potuto chiamarsi Atlantide.

Quell'isola si chiama Sardegna e numerosi riscontri archeologici mostrano come sia stata repentinamente abbandonata attorno al 1178-1175. I nuraghes della costa sarda meridionale e occidentale, quelli a quote basse, sono tutti distrutti, capitozzati, con le grandi pietre gettate a terra, mentre quelli contemporanei della Sardegna settentrionale sono ancora oggi in piedi: sono possibili terremoti o maremoti in un'isola da sempre ritenuta tranquilla da un punto di vista tettonico? La geologia potrebbe tentare di dare una risposta decisiva attraverso sondaggi opportunamente collocati nella valle del Campidano, vicini ai nuraghes ricoperti da una melma fangosa che ha tutta l'aria di essere un residuo di un'inodazione, o, addirittura, di un maremoto.
In tutto il mondo le rocce di maremoto permettono di riconoscere le catastrofi del passato: l'ipotesi dell'asteroide che avrebbe causato la scomparsa dei dinosauri riposa in parte su prove come queste. Ma se tutto trovasse ulteriori conferme molte idee andrebbero cambiate: la storia e l'archeologia dell'intero Mediterraneo rischiano di essere stravolte in una nuova visione del mondo antico la cui origine sarebbe più vicina di quanto pensassimo.

Come dicevo all'inizio, cercando su Google si trovano parecchi post, articoli e interventi sul tema. non ne sapevo nulla, ma in realtà sono anni che se ne parla. Anche su YouTube ci sono video delle varie puntate di trasmissioni (es Voyager) dedicate all'argomento. Questo mio post è preso dal seguente articolo (clicca qui)

Chiuso per ferie

Finalmente, dopo tanti giorni di duro lavoro, ce ne andiamo in vacanza.
Tra poco questa nave mi porterà dritto in Sardegna.

Non vedo l'ora perchè ho proprio voglia di andarmene al Mare...se esistesse il teletrasporto, sarei già a mollo.

See you soon!